DISORIENTATI E FIDUCIOSI

DISORIENTATI, INCERTI, STANCHI. FIDUCIOSI, ENTUSIASTI, PIENI DI VITA.

Disorientati, incerti, stanchi. Questi tre aggettivi descrivono la condizione dei ragazzi che un insegnante intravede dietro lo schermo di un computer, ogni mattina, quando sa che ad attenderlo non ci sono volti assonnati al portone della scuola in attesa del fatidico suono della campanella, alunni che con il loro via vai animano scale e corridoi di un edificio altrimenti asettico, occhi pietosi davanti alle porte delle aule che supplicano di non essere interrogati o sguardi sorridenti ed energici di chi si ritrova insieme, ancora una volta, pronto, o quasi, a vivere una nuova giornata di scuola. Ad attendere un insegnante, in questo periodo, ci sono uno schermo, un mouse e una tastiera, per la prima volta nella storia, vivi! Vivi, perché dietro quei dispositivi un insegnante sente: “Buongiorno prof.”, che vuol dire: “Io ci sono! Disorientato, incerto, stanco, ma ci sono; insieme al mio cane che continua ad abbaiare, a mia sorella che piange ininterrottamente, a mia madre e alla sua aspirapolvere e al wifi che ogni tanto perde il segnale. Io ci sono”. E così, nonostante gli strumenti che ha a disposizione, un insegnante si accorge che i ragazzi sono stanchi di accendere la tv e ascoltare un tg che sembra quello dello scorso anno, di dover rimanere in casa nel pieno rispetto di regole e protocolli, consapevoli che fuori, da qualche parte, uno o più incoscienti, coetanei e non, si stanno facendo beffe delle disposizioni. Un insegnante nota che i ragazzi sono incerti di un domani che non si può più costruire, perché d’improvviso un’ordinanza può stravolgerlo, e percepisce quanto i suoi alunni sono disorientati, perché nessuna stella fissa guida il loro cammino e tutto sembra ed è incredibilmente mutevole. E così, alla ricerca di un pizzico di normalità, i più giovani si ancorano al lento e inesorabile incedere del tempo o alle ammalianti pagine dei social network che inducono agli stati depressivi, agli attacchi di ansia, agli atti di autolesionismo e ai tentativi di suicidio. Che abbiano contribuito l’impossibilità di incontrare amici e coetanei? Che abbia contribuito la chiusura reiterata dei luoghi di svago? Che abbia contribuito la pandemia? È certo che questi fattori abbiano accentuato il disagio, ma è evidente che manchino, già da tempo, veri punti di riferimento stabili e affidabili. Le famiglie si sgretolano, si frantumano e si rinnovano, gli insegnanti cambiano continuamente, in balìa di graduatorie e concorsi inesistenti che connotano da troppi anni il mondo della scuola, e, alla guida del Paese, regna sovrano un trasformismo distruttivo, poco attento alle esigenze delle nuove generazioni. I ragazzi sono immersi in una società di adulti autoreferenziale e sempre più secolarizzata che, troppo intenta a ritorcersi su se stessa, non si preoccupa di coltivare e far germogliare i semi di bellezza che dimorano dentro ciascuno di loro. Un insegnante vede, ogni mattina, grazie agli strumenti che ha a disposizione, che l’unica responsabilità dell’adulto è quella di trovare il coraggio di dare voce alle fragilità dei più giovani e l’unico suo dovere è quello di trasmettere ai ragazzi, attraverso il sapere, la carica per essere, ogni giorno, non più disorientati, incerti e stanchi, ma fiduciosi, entusiasti e pieni di vita, per poter continuare ad affermare con determinazione e nonostante tutto: “Io ci sono”!  

*Sabrina Billone, insegnante fuorisede a Varese

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